L’argomento che oggi iniziamo ad esaminare è assai importante, perché ti fa capire uno degli strumenti primari che il cristiano può e deve utilizzare per essere “luce del mondo e sale della terra” (cf. Mt 5,13-16), cioè via di salvezza, in Cristo, per l’umanità intera.
Il tema in oggetto è il dialogo, che come sai è parte integrante della nostra vita quotidiana, fatta di molteplici incontri e relazioni interpersonali: in famiglia, in Parrocchia, a Scuola, sul posto di lavoro, nei momenti di svago, sul web, ecc. A volte il dialogo si fonda sulla parola pronunciata “viso a viso”, a volte sulla parola scritta, altre ancora sul linguaggio del corpo, che si declina in gesti e atteggiamenti diversi e comunque significativi.
Una cosa è certa, e cioè che il dialogo è un’attività essenziale dell’esistenza umana, che ci permette di scambiarci vicendevolmente idee, proposte, punti di vista e persino convinzioni che albergano nel nostro cuore.
Ma entriamo nel vivo della nostra riflessione.
Va detto sin da subito che il dialogo non deve essere inteso dal cristiano alla maniera umana, bensì nell’ottica della fede, perché vi è una differenza abissale tra il dialogo inteso secondo la visione del mondo e il dialogo inteso secondo la sapienza divina.
La differenza è prima di ogni cosa nel fine che si vuole perseguire e che è quanto mai diverso.
Infatti quando si parla di dialogo alla maniera umana, si intende un confronto che è finalizzato a trovare un accordo, un’intesa, un punto di convergenza su questioni che interessano i dinamismi della vita quotidiana. Possiamo dire che si dialoga sulla base di un confronto volto a generare e aumentare il consenso comune.
Diverso è invece il dialogo nell’ottica della fede, perché esso ha come fine l’evangelizzazione, e cioè il dono della verità che salva, quella luce di sapienza celeste che sempre dovrebbe illuminare le coscienze e le menti.
Non si tratta dunque di mettersi d’accordo, quanto piuttosto di conoscere e accogliere la volontà di Dio come via da seguire con umiltà e piena sottomissione a Lui.
Risulta chiaro che la prospettiva è molto differente. Dall’immanenza ci si apre alla trascendenza, che esige da parte di tutti il riconoscere la grandezza e superiorità dell’Onnipotente Signore del Cielo e della Terra, nelle cui mani è il destino del mondo.
Il cristiano, dunque, se la sua fede è autentica, non dialoga mai escludendo Dio dal suo dire. Egli si preoccupa di tenere sempre aperto l’orecchio del suo cuore per ascoltare il sussurro dello Spirito Santo che deve mettere sulla sua bocca la parola giusta da dire e indicargli il progetto da realizzare di volta in volta. Possiamo affermare, in questo senso, che il dialogo è una particolarissima via attraverso cui il battezzato vive la dimensione profetica del Battesimo che ha ricevuto. Non dice infatti una sua parola, ma piuttosto trasmette la Parola di Dio. E questo fa per il bene di coloro che gli stanno innanzi.
Pensiamoci un attimo. Cosa facevano i Profeti? Cosa facevano Mosè, Samuele, Natan, Isaia, Geremia, Daniele, Osea, Amos e tutti gli altri? Ricevevano dal Signore le parole da dire e le donavano al popolo come meraviglioso dono dall’Alto. Chi parlava era il loro cuore, ma imbevuto e intessuto di sapienza celeste. Per tale motivo la storia cambiava attorno a loro: quanti erano di buona volontà si convertivano e coloro che erano iniqui si scagliavano contro di loro e li perseguitavano.
Un altro esempio, forse più semplice e quanto mai eloquente, è la vicenda del giovane ricco che andò da Gesù per chiedergli cosa dovesse fare per avere la vita eterna (cf. Mc 10,17-27). Gesù entrò in dialogo con costui, ma non per trovare un punto di incontro o stipulare un accordo in cui entrambe le parti avrebbero dovuto definire il da farsi. Gesù parlò in modo chiaro, con autorità di Maestro, e disse al giovane che la via della perfezione esige il totale rinnegamento di se stessi, perché questo è necessario per percorrere con cuore libero e indiviso la via della croce che conduce alla resurrezione.
Purtroppo quel tale voltò le spalle a Gesù e se ne andò via triste.
L’insegnamento che ci viene da questo episodio è grande e irreformabile. Nell’ottica della fede bisogna essere sempre capaci di indicare a chi abbiamo dinanzi la via della perfetta salvezza che si ottiene con l’obbedienza piena e puntuale alla volontà di Dio. Se non lo facciamo – o perché non ne siamo capaci in quanto ignoriamo questa via, o per falso buonismo o per mille altri motivi – non dialoghiamo secondo il cuore di Cristo, perché non siamo voce dello Spirito Santo. L’altro rimane nelle tenebre e noi non abbiamo fatto niente per farlo passare nella luce.
Neppure dobbiamo avere paura che chi ci ascolta ci volti le spalle o addirittura ci accusi di essere autoritari e retrogradi. La nostra preoccupazione deve essere solo quella di donare Cristo e la sua sapienza, il suo Vangelo e il suo cuore. Chi è di buona volontà capirà. Chi non lo è, “mentendo dirà ogni sorta di male contro di noi per causa del Vangelo” (cf. Mt 5,10-12). Ma non per questo dobbiamo smettere di essere missionari e dunque di essere “luce del mondo e sale della terra”.
Che la Vergine Maria ci aiuti in tal senso con la sua potente intercessione e ci ottenga tutta la potenza di grazia necessaria per parlare e operare sempre dal cuore del suo Figlio Gesù e mai dal cuore del principe delle tenebre.
Per approfondire la dimensione profetica della vita battesimale puoi leggere il n. 35 della Lumen Gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, nata nel seno del Concilio Vaticano II (LG 35).