«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42).
La Chiesa deve pensare se stessa alla maniera di Maria e non di Marta. Deve cioè pensarsi come discepola del Signore, che brama di ascoltare la sua voce e di conoscere in maniera sempre più perfetta la sua Parola e la sua volontà.
Essa deve essere come la cerva che anela ai corsi d’acqua della vera sapienza (cf. Sal 41), perché sa che solo quella sapienza sazia le anime e le rende capaci di assaporare la mirabile comunione di vita con Dio. Una Chiesa stolta che agisce in modo autonomo dal suo divino Fondatore, non può sperare di convertire nessuno né di essere “sacramento universale di salvezza” (cf. LG 48), perché la sua non è Parola che discende dal Cielo, ma parola inficiata di pensieri umani che non hanno nulla di speciale rispetto a tutte le teorie e le filosofie che l’uomo da sempre si inventa e che sono parole vuote, che non possono purificare e rigenerare le profondità dell’essere dell’uomo, perché hanno in sé un seme corruttibile e inefficace in quanto a salvezza (cf. 1 Pt 1,22-25).
Oggi più che mai bisogna allontanare la tentazione di pensare la Chiesa in una prospettiva immanente, come fosse un’azienda che deve creare eventi, magari anche mastodontici, per attrarre i suoi “potenziali clienti” e convincerli della bontà dei prodotti che essa propone, una Chiesa che adatta il Vangelo al peccato del mondo per paura di essere derisa o perseguitata. È da allontanare la tentazione di pensare che non serva più annunciare il Vangelo, perché il Vangelo è parola che non piace, che è troppo esigente o che non può risolvere i problemi dell’uomo. È da allontanare la tentazione dell’attivismo sfrenato di Marta, che è anche animato di buona volontà, ma che tutto fa tranne che ciò che il Signore chiede.
Non sono le nostre opere, i nostri programmi, le nostre strategie che convertono e salvano né il conformare la propria mentalità alla mentalità del mondo. Ciò che converte e salva è il dire il nostro “sì” a Gesù che ci chiede di essere sua voce nel mondo, per ogni uomo e ogni donna che incontriamo lungo la via, e manifestazione visibile dell’umanità redenta di cui lui è il primogenito. Un “sì” incondizionato che nasce dall’ascolto attento del suo Cuore.
O mettiamo al centro del nostro agire pastorale l’obbedienza allo Spirito Santo oppure mai il Signore ci accrediterà con segni e prodigi. Non lo potrà fare, perché in quel che noi facciamo lui non c’è. Ci sono i nostri pensieri, i nostri desideri, persino il nostro peccato, ma non lui, la sua sapienza e la sua onnipotenza.
Per comprendere meglio quanto stiamo dicendo penso che due passi della Scrittura siano quanto mai utili.
Il primo è le nozze di Cana. Leggendolo con attenzione ci accorgiamo con facilità che il miracolo in quel caso si compie perché i servi hanno ascoltato Gesù e hanno obbedito a ciò che lui ha chiesto loro.
La preghiera di Maria Santissima e la sua mediazione sono state essenziali, ma non sufficienti. Se i servi avessero disobbedito al comando dello Sposo divino, se avessero fatto prevalere le loro paure o le loro incertezze, gli invitati sarebbero rimasti senza vino e gli sposi avrebbero fatto una magra figura. Stessa cosa sarebbe accaduta se si fossero industriati in tutti i modi, andando a cercare il vino per mari e per monti: tutto sarebbe precipitato miseramente perché solo l’onnipotenza divina poteva risolvere quel problema tanto delicato.
L’ascolto del divin Maestro da parte dei servi, la fede nella sua Parola, l’obbedienza perfetta e immediata al suo comando sono stati necessari perché gli invitati – che sono immagine dell’umanità intera – potessero saziarsi con il vino della sapienza che infonde nel cuore la gioia di vivere.
L’altro passo della Scrittura è la preghiera che Salomone fece all’inizio del suo ministero regale: «Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito. Ella infatti tutto conosce e tutto comprende: mi guiderà con prudenza nelle mie azioni e mi proteggerà con la sua gloria. Così le mie opere ti saranno gradite; io giudicherò con giustizia il tuo popolo e sarò degno del trono di mio padre (cf. Sap 9).
Il giovane Re capì subito che senza il potente aiuto celeste non avrebbe potuto fare nulla di buono per il popolo a lui affidato. Così si prostrò dinanzi a Dio e chiese questo dono con cuore sincero.
Lo stesso atteggiamento e la stessa umiltà deve avere la Chiesa di ogni tempo, in ciascuno dei suoi membri. Solo se lo Spirito Santo viene in nostro aiuto e scrive per noi, di volta in volta, il programma da realizzare e la strategia pastorale da usare possiamo noi aiutare le anime ad incontrare Cristo, a credere in lui, ad accoglierlo come Maestro e Signore, a chiedere perdono con sincero pentimento per ogni peccato commesso, a scegliere di seguirlo sulla via che conduce a Gerusalemme.
Senza la sapienza che discende dall’alto siamo tutti ciechi, incapaci di vedere anche ciò che è evidente a vista d’occhio. Siamo tutti fragili, succubi del male e pronti a voltare le spalle a Gesù Signore. Da qui la necessità di imparare a pregare e ad ascoltare la sua voce, di sedersi ai suoi piedi come Maria perché lui possa insegnarci la via dell’amore vero e perfetto che genera salvezza e porta a compimento la Redenzione.
Che la Vergine Maria, nostra Madre e Regina, ci renda tutti attenti ascoltatori del suo divin Figlio e ci insegni la vera umiltà che ci fa credere che la sua sapienza è la sola cosa di cui abbiamo bisogno, noi e l’umanità intera.
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