La preghiera è una dimensione essenziale della vita cristiana. Essa è necessaria per alimentare e custodire il nostro legame con Dio, dal quale dipende la nostra vita e il nostro cammino di santificazione.
Chi prega con cuore sincero manifesta la sua fede in quelle parole di Gesù che mai dovremmo dimenticare: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5).
Non sembri esagerata questa affermazione, ma il “nulla” è assoluto. Se il Signore non viene in nostro soccorso, non possiamo che combinare guai, per noi e per gli altri. Se la sua sapienza non guida i nostri atti, brancoliamo nel buio. Se non siamo rivestiti di potenza dall’Alto, il nemico ci vince, ci annienta, ci tritura nelle sue fauci senza che ci sia per noi nessuna possibilità di salvezza.
La preghiera si fonda sulla saggia consapevolezza che siamo creature. Nessuno dunque, ma veramente nessuno, è onnipotente. Siamo invece tutti bisognosi che l’onnipotenza divina ci soccorra e ci accompagni. E non una volta ogni tanto o per qualche impresa particolare. Ma sempre, a partire da quelle piccole attività quotidiane che svolgiamo con la più grande naturalezza.
Un conto è operare dopo aver invocato lo Spirito Santo, chiedendogli che guidi la nostra intelligenza e ci doni ogni grazia necessaria per operare secondo la volontà di Dio. Un conto è agire autonomamente, come se Dio non esistesse, da soli e guidati dal proprio istinto e immersi nei propri pensieri.
È proprio vero: «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. […] Invano ci si alza di buon mattino e tardi si va a riposare» (cf. Sal 127), si sciupano forze invano, ci si affanna giorno e notte, ma senza poi poter vedere alcun frutto di bene.
Per tale motivo la preghiera deve accompagnare ogni nostra attività. Bisogna pregare prima, durante e dopo. Prima, perché il Signore disponga ogni cosa per la buona riuscita delle nostre azioni. Durante, perché la sua benedizione ci assista. Dopo, perché lui porti tutto a compimento.
Ma l’uomo oggi è spavaldo, presuntuoso, superbo. Confida in se stesso e pensa di poter fare tutto con le sue forze, con la sua scienza, con la sua intelligenza, con le sue leggi che scrive e riscrive a suo piacimento senza prendere in minima considerazione la Legge dell’Altissimo. È simile al giudice disonesto di cui parla la parabola che Gesù racconta (cf. Lc 18,1-8). Un giudice che non guarda in faccia nessuno. Non teme Dio e non teme l’uomo. Pensa di avere in mano le sorti della storia, dell’economia, del proprio destino, di ogni ambito della società. E perciò si arroga il diritto di farsi padrone della vita altrui, soprattutto della vita dei più deboli, di coloro che sono fragili e indifesi.
Così l’uomo di oggi pensa e si pensa, ma non sa che in realtà è anche lui un “avanzo di tizzone fumoso” (cf. Is 7,1-9) di cui il Signore ha pietà, perché attende la sua conversione.
Noi cristiani non dobbiamo invidiare chi si identifica con questo giudice disonesto. Non dobbiamo desiderare di diventare come lui. E la tentazione a volte è forte, perché si pensa che passando dalla parte dei prepotenti si è finalmente felici e liberi. Noi cristiani dobbiamo rivestirci di santa umiltà e identificarci con la povera vedova del Vangelo di questa Domenica.
Non per andare dai potenti di questo mondo per chiedere a loro favori e benemerenze, né per entrare nei loro circuiti di schiavitù. Ma per prostrarci dinanzi all’Onnipotente e chiedergli che venga in nostro aiuto. Giorno e notte, senza mai stancarci, con quella fiducia nel suo amore di Padre e con quell’insistenza che vuole ottenere le grazie sperate.
Come questa vedova, anche noi dobbiamo bussare alle porte del cuore di Cristo e non venire mai meno fino a che lui non si muove a pietà di noi e ci esaudisce. La nostra insistenza, unita alla nostra umiltà e alla nostra fiducia, sono la via per far sì che veramente la storia cambi e il deserto diventi un giardino fiorito.
Tutti dobbiamo credere di più nella preghiera. E nella preghiera dobbiamo combattere come ha fatto questa vedova con il giudice disonesto o come fece Giacobbe sul torrente Iabbok per una notte intera per strappare all’Angelo la benedizione divina (cf. Gn 32).
Una preghiera blanda, distratta, fatta a singhiozzi, non ci potrà aiutare. Al Signore non piacciono questo tipo di preghiere, perché al Signore piacciono i guerrieri, coloro che con determinazione non temono di “misurarsi” con lui come gladiatori che combattono a viso aperto con le belve feroci.
Sembra strano, ma è proprio così. Il Signore ascolta coloro che sono combattivi e che nella preghiera danno il meglio di se stessi, senza stancarsi mai. Del resto questo ci ha insegnato Gesù nel Getsemani. In quel campo di battaglia Egli pregò per ben tre volte il Padre suo, e sudò sangue finché non ottenne tutta la potenza dello Spirito Santo che gli serviva per portare a termine la sua missione.
Chi vuole una grazia, piccola o grande che sia, deve combattere con tutte le sue forze e non si deve stancare. Deve chiedere con la certezza che tutto può l’Onnipotente e con la consapevolezza che il Padre dei cieli ascolta i suoi figli, se questi bussano con fermezza d’animo alle porte del suo cuore.
Che la Vergine Maria ci insegni a combattere nella preghiera, a perseverare in essa giorno e notte, a sperare contro ogni speranza, anche quando le grazie di cui abbiamo bisogno sono grazie impossibili. Ella interceda per noi e intenerisca il cuore del suo divin Figlio per il nostro più grande bene.
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