Due modi errati di rapportarsi con Dio

Due modi errati di rapportarsi con Dio

La parabola del fariseo e del pubblicano (cf. Lc 18,9-14) ci invita a riflettere su due modi errati di rapportarsi con Dio, che di fatto sono assai pericolosi per la nostra salvezza eterna, oltre che per il nostro cammino di santificazione.

In verità essi sono in un certo senso opposti l’uno all’altro, ma sono tuttavia atteggiamenti nei quali possiamo cadere con estrema facilità. Da qui la necessità di vigilare sul nostro cuore e di aiutarci vicendevolmente per rimanere saldi nella retta fede.

Il primo atteggiamento è l’atteggiamento del fariseo che adora un dio muto molto simile al vitello d’oro di venerata memoria (cf. Es 32). Quest’idolo, costruito ad arte con ragionamenti che hanno la loro radice nella falsa teologia e nella falsa profezia, non ha volontà sull’uomo. È un dio che serve per continuare a peccare, che giustifica il male così come è stabilito dalla mente del fariseo e che non esige nessuna conversione.

In tal modo la preghiera è un esaltare se stessi, anziché un chiedere al Signore qual è la sua volontà, quali sono le imperfezioni che si hanno, in che modo, quando e perché si è mancati nei suoi confronti. È una preghiera falsa, un vero e proprio soliloquio che non ha Dio come suo interlocutore in quanto Costui è ridotto ad un concetto manipolabile a proprio piacimento.

Si parla con se stessi e ci si tura le orecchie per non ascoltare lo Spirito Santo e la propria coscienza.

Per di più il fariseo commette un ulteriore gravissimo abuso che è quello di usare la religione, che lui stesso si è costruito secondo il suo capriccio, come una sorta di scudo contro gli altri, uno scudo impenetrabile che non si lascia attraversare da nessuna parola saggia che in qualche modo potrebbe generare un ripensamento. Si è soli con se stessi, chiusi nel carcere della propria falsità rivestita di religiosità deviata e sempre pronti a disprezzare tutti, ritenendoli peccatori senza alcuna possibilità di redenzione.

Il fariseo non è un ateo dichiarato. È un ateo che si ritiene credente, in nome di una religiosità simile ad un cappotto fatto su misura con l’astuzia satanica di chi si arroga il diritto di mettersi al di sopra di tutti e persino di Dio.

Una tale condizione spirituale è veramente grave. È vera e propria cecità del cuore e della mente, che risulta assai difficile da curare, poiché la coscienza si è ottenebrata a tal punto da chiudersi ad ogni tipo di sano discernimento. La Parola di Dio è stata trasformata, elusa ed annullata. È stata dichiarata non più Parola immutabile e vera nei secoli in nome di una razionalità deviata e vinta dal tentatore.

Che il Signore ci liberi da un modo di pensare il rapporto con lui in tal maniera. Che ci conceda l’umiltà del cuore per essere sempre pronti ad ascoltare la sua voce, la sapienza di accogliere la sua Parola senza nulla aggiungere e nulla togliere e il desiderio vivo di lasciarci correggere da lui e da quanti egli mette sul nostro cammino come strumenti della sua benevolenza per la nostra conversione quotidiana.

Il secondo atteggiamento è la non fiducia nella misericordia di Dio. Potremmo dire che è l’atteggiamento di chi non imita il pubblicano e dubita dell’amore sconfinato che nostro Signore ha per noi.

È l’atteggiamento di chi non crede che la conversione è possibile ed è la cosa più bella che possa capitare. È vero, siamo peccatori, a volte testardi e cocciuti, ma se torniamo pentiti a Dio, lui ci accoglie come il Padre ha accolto il figliol prodigo e ci dona la possibilità di ricominciare daccapo (cf. Lc 15,11-32).

Anche per noi fa festa nel Cielo e chiama i suoi servi perché preparino un banchetto di cibi succulenti. Egli non ha piacere della nostra morte, perché ci ama di eterno amore e attende sempre che ci ravvediamo per ricolmarci della sua grazia.

La storia della Chiesa è piena di Santi e Sante che prima dell’incontro con Cristo sono stati succubi del male e hanno conosciuto il peccato. Ma si sono pentiti, hanno cambiato vita, si sono rialzati e hanno potuto riparare gli errori commessi lavorando con zelo nella Vigna del Signore per la salvezza di una moltitudine di anime.

Anche noi, dunque, non dobbiamo mai dubitare della misericordia di Dio. Certo, non dobbiamo neanche abusarne, ma questo è un altro discorso che non possiamo qui affrontare. La Redenzione è possibile per tutti. È lunga, faticosa, difficile. Richiede anni di lenta e graduale conformazione a Cristo, ma è possibile, perché «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), anche che il più grande peccatore diventi il più grande Santo della storia della salvezza.

E allora imitiamo il pubblicano al tempio. Riconosciamo i nostri peccati, ma al tempo stesso apriamo il nostro cuore all’azione misteriosa della grazia che può guarirci e fare di noi nuove creature, strumenti perfetti dello Spirito Santo in ogni tempo e in ogni dove.

Ci aiuti la Vergine Maria, Rifugio dei peccatori, e ci ottenga tutte le grazie necessarie per essere cristiani autentici e apostoli zelanti nel mondo e nella Chiesa perché tutti credano in Cristo Gesù, nel suo amore e nella sua misericordia che sa trasformare il nostro deserto in un giardino fiorito.

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