I carismi sono doni particolari che lo Spirito Santo fa ad ognuno di noi. La parabola dei talenti dice con somma chiarezza che tutti ne abbiamo ricevuto almeno uno.
Non possiamo perciò dire di non avere carismi. Piuttosto dobbiamo scoprirli e metterli a frutto, con tanta buona volontà e un’abbondante dose di sapienza. È questo un nostro dovere dinanzi a Dio, alla Chiesa e all’umanità intera, sulla base del quale verremo giudicati degni, o meno, di entrare in Paradiso:
«Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». […] «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti» (cf. Mt 25,14-30).
Non basta infatti non fare il male, se si vuole la salvezza eterna, bisogna anche operare il bene secondo la particolare via che Dio ha scelto per noi. Né tantomeno è gradito al Cielo che noi ce ne stiamo sonnecchiando senza far nulla, nascondendo i nostri carismi nel fazzoletto dell’insicurezza e delle paure più o meno giustificabili. Il Signore ci vuole protagonisti della storia della salvezza, cristiani dinamici che si adoperano con intelligenza di Spirito Santo perché il mondo creda che Gesù è Via, Verità e Vita.
La missione, infatti, è scritta nel DNA del battezzato, e ancor di più lo diventa in virtù dei carismi e nel momento in cui si ricevono gli altri Sacramenti, nessuno escluso. Questi sono dati a noi per vivere la missionarietà con una specifica configurazione ontologica che porta con sé, ovviamente sempre in obbedienza ai Pastori e in comunione con loro, l’acquisizione di ruoli e ministeri particolari nella Comunità ecclesiale.
Ora è bene notare in questa luce che la dimensione sacramentale e la dimensione carismatica devono sempre operare in perfetta sintonia, poiché è grazie ad esse che possiamo e dobbiamo operare nella Chiesa e arricchirci vicendevolmente con quella particolare espressione dello sapienza divina che ci è stata donata.
In particolare va detto che è nostro dovere non far morire il carisma ricevuto. Sarebbe questo un grave peccato contro il nostro DNA, un’offesa allo Spirito Santo che ha in mente di realizzare con noi un progetto di amore che nessun altro potrebbe altrimenti realizzare. Non far morire il carisma ricevuto – o i carismi per chi ne ha ricevuti più di uno – è nostra responsabilità. Custodirlo è per noi legge di vita, regola di sapienza evangelica che non possiamo disattendere.
Ecco perché bisogna darsi da fare. Il carisma infatti deve “moltiplicarsi”, cioè deve produrre frutti abbondanti che tutta la Comunità ecclesiale e umana deve poter gustare. Nascondersi per paura, timidezza, pigrizia o per mille altri motivi che non sto qui ad elencare, non equivale ad essere giustificati agli occhi di Dio e dei fratelli.
Lo Spirito Santo ci ha dato i carismi e di sicuro ci donerà sempre la forza, e ogni altra grazia necessaria, per metterli a frutto. Questa deve essere la nostra fede. Nessun’altra. Il resto è tentazione che vuole spegnere la nostra luce, perché gli dà fastidio.
Il carisma è in fondo una via per amare. Esso ci è dato per viverlo nella carità e in funzione della carità.
Nella carità significa che lo si deve esercitare e sviluppare con amore e non per vanagloria, per mettersi in mostra, per ostentare la propria bravura, per motivi di opportunismo o superbia o autoesaltazione. La carità deve animare ogni nostro esercizio carismatico e di ogni altro genere, perché la carità deve essere la ragione ultima del nostro agire. Essa deve in qualche modo diventare sempre più la nostra stessa natura, l’atteggiamento del cuore che spinge tutto ciò che diciamo e facciamo.
In funzione della carità significa invece che il fine del nostro mettere a frutto il carisma ricevuto deve essere il bene della Chiesa e di ogni uomo. I carismi, insomma, servono per aiutare coloro che abbiamo accanto e non per annientarli. Possiamo dire che la vita degli altri dipende in grande misura dai nostri carismi. Se noi imitiamo i servi elogiati dal padrone nella parabola, la Chiesa vive. Altrimenti, muore.
Un’ultima cosa è giusto dire, anche se molte altre verità potrebbero essere messe in luce. Non solo dobbiamo far sì che il nostro carisma non muoia. Dobbiamo anche accogliere e promuovere con umiltà e gratitudine il carisma dell’altro.
Questa è un’opera molto importante. La tentazione infatti è quella di soffocarsi a vicenda, direttamente o indirettamente, con azioni conclamate o con l’indifferenza, con gelosia e invidia evidenti o lavorando nelle tenebre con parole false e avvelenate.
Dobbiamo convincerci che i carismi non sono nostri. Ci sono stati affidati per un bene più grande, e noi non possiamo farne ciò che vogliamo. O li custodiamo e viviamo nella volontà di Dio oppure il Signore interverrà e ci toglierà anche quello che crediamo di avere. Lui non scherza. Dobbiamo rivestirci tutti di grande saggezza e umiltà.
Ci aiuti la Vergine Maria, nostra Madre e Regina, e ci renda Chiesa che vive in comunione e di comunione perché la nostra luce risplenda nel mondo e diradi le tenebre del male.
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