Si commosse profondamente – La resurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-45)

Si commosse profondamente – La resurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-45)

Gesù allora, quando vide piangere Maria, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?» (Gv 11,33).

Il pianto di Gesù dinanzi alla morte di Lazzaro potrebbe sembrare strano. Come mai il Figlio di Dio, l’Onnipotente, il Creatore del Cielo e della terra, il Signore della vita e della morte piange? Lui sa che la morte dei giusti – e Lazzaro lo era – è un passaggio dal tempo all’eternità. Non è la fine, ma l’inizio di una vita nuova in cui vi è beatitudine e contemplazione gioiosa del volto di Dio. Non dovrebbe gioire, lui che vede oltre e possiede una fede invincibile?

La risposta a questa domanda in verità è semplice se noi cogliamo il mistero di Cristo in tutta la sua interezza e non in modo ereticale, cioè parziale. 

Gesù è Dio, è vero, ma è anche uomo. La sua umanità è in tutto simile alla nostra per quanto, com’è noto, immune da peccato sia originale che attuale. È umanità intessuta di sentimenti ed emozioni, di pensieri, desideri, volontà. È umanità che conosce il turbamento interiore dinanzi al dolore fisico e spirituale. È umanità che soffre e spera. È umanità creata per la vita e non per la morte.

Gesù è nostro Salvatore proprio perché ha assunto la nostra umanità e in essa e da essa ci ha amati e redenti. L’Incarnazione e la Pasqua sono un unico mistero. Chi muore sulla croce è quel Bambino nato a Betlemme che si è fatto carne per opera dello Spirito Santo nel seno purissimo della Vergine Maria. Non si tratta di due soggetti differenti. Il Bambino è vero uomo così come lo è il Crocifisso. Soffre il Bambino, soffre il Crocifisso. 

Cogliere questa verità è per noi molto importante perché ci fa comprendere che Gesù non è venuto per annullare la nostra natura umana ma per redimerla e santificarla. Anzi è andato infinitamente oltre perché ha voluto renderci collaboratori necessari della Redenzione. Nella sua sapienza infatti sceglie oggi ciascuno di noi perché diventiamo in lui, ognuno secondo la propria particolare vocazione, causa di salvezza per il mondo intero. 

Il pianto di Gesù alla tomba di Lazzaro non è segno di debolezza. È al contrario manifestazione di quanto la nostra umanità sia preziosa agli occhi di Dio. È in essa e non fuori di essa che la Redenzione si deve compiere. È in essa e non fuori di essa che Gesù vuole oggi continuare a manifestare l’onnipotenza creatrice della sua Parola che fa risorgere l’uomo Lazzaro dal sepolcro e lo chiama alla vita nuova dei figli di Dio.

È chiaro che la nostra umanità va redenta e cioè innestata in Cristo. Se non viviamo in lui e lui non vive in noi, siamo tutti cadaveri ambulanti. Apparentemente siamo vivi. In realtà siamo morti, incapaci di produrre salvezza perché privi della salvezza. Le parole che Gesù ha detto a Marta valgono anche per noi: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?» (Gv 11,25-26). La domanda è personale. Crediamo che la nostra umanità è chiamata a redimersi in Cristo per redimere il mondo? Ciascuno di noi deve rispondere. 

Una cosa però deve essere chiara. Ciò che deve spaventarci non è la nostra fragilità umana. Non sono le lacrime, la sofferenza, il dolore, la stanchezza, l’ansia, la tristezza, la paura e l’angoscia. Questi sentimenti ed emozioni sono parte integrante della nostra natura come lo sono stati per Gesù. Anche lui ha pianto, ha provato tristezza e angoscia nel Getsemani, ha sofferto sulla croce e ha sentito il dolore delle spine e dei chiodi. Ciò che deve spaventarci è la mancanza di fede, la durezza del cuore, la sordità spirituale, il peccato e il vizio, il non portare la nostra umanità nella perfetta obbedienza al Padre nostro celeste. In una parola il pericolo di essere tralci staccati da Gesù, vera Vite, che non possono produrre frutti di vita eterna e attendono solo di venire gettati nel fuoco eterno. Questo è il vero dramma dell’esistenza dell’uomo: non il pianto nel tempo, ma il pianto nell’eternità quando ormai non c’è più spazio per la conversione e il ravvedimento.

Che la Vergine Maria, Madre dell’umanità redenta, ci assista con la sua preghiera e ci faccia uscire dal sepolcro della nostra incredulità che contamina la nostra natura e rende assai difficile il nostro cammino verso la gloria eterna.