La vocazione è la via particolare che il Signore sceglie per ciascuno dei suoi figli come via perfetta per amare, per essere strumenti dello Spirito Santo a beneficio dell’intera umanità. Una sorta di binario che bisogna seguire se si vuole essere felici.
Essa non è – come spesso si pensa – qualcosa che riguarda solo i Sacerdoti o i Religiosi e le Religiose. Riguarda tutti, senza distinzione di età, ceto sociale, razza o tribù di appartenenza. Si è chiamati al Sacerdozio o alla vita consacrata, ma anche a divenire sposi e genitori, così come a svolgere una qualsiasi professione nel campo sociale, economico, culturale, ecc.
Leggere la vita dell’uomo in termini vocazionali significa riconoscere ed affermare il profondo legame tra Dio e l’uomo, che non deve essere ignorato se ci si vuole aiutare vicendevolmente in ordine alla perfetta realizzazione esistenziale.
Ma oggi non si pensa così. Tutto è ridotto ad immanenza. Si separa l’esistenza dell’uomo da Dio e lo si condanna all’infelicità e incompiutezza dell’essere. Oggi è il giovane ricco il modello che molti propongono come modello di umanità da realizzare (cf. Mt 19,16-22). Un giovane che deve carcerare la sua anima nella schiavitù delle cose del mondo, del pensiero idolatra e fallace di questo o quell’altro “messia” di turno, sulla base di una concezione della scienza – in particolare quella di matrice psicologica – del tutto fuorviante.
Oggi il Vangelo non si legge con occhi di fede. Non lo si guarda, cioè, come Parola ispirata capace di illuminare l’esistenza dell’uomo di ogni tempo e di orientarla sulla via del bene. Lo si legge come una parola desueta, assai inferiore alla razionalità scientifica dei grandi pensatori del tempo moderno.
Così sono pochi, molto pochi, coloro che accolgono la propria vocazione come dono di Dio. Ancora di meno sono i formatori – genitori in primis – che aiutano i piccoli, gli adolescenti e i giovani a vedersi in Dio e dalla sua sapienza.
Eh, sì. È proprio dalla sapienza creatrice di Dio che bisognerebbe partire per cogliere la stupenda bellezza e il valore inestimabile della vita come vocazione. L’uomo e la donna non sono nati per caso. Nessuno lo è. Né tantomeno sono un prodotto della natura affidato alla casualità.
Ognuno di noi è portatore di un mistero altissimo che è scritto nelle fibre del nostro essere, prima che altrove. Il Creatore conosce noi più di quanto noi ci conosciamo. Vede in profondità e sa quali sono le nostre attitudini, ciò che possiamo imparare a fare e ciò che invece non fa per noi. E questo perché è Lui stesso che ci ha pensati sin dall’eternità per un fine preciso, dotandoci di tutti quei requisiti necessari per realizzarlo. Sia sul piano della natura che su quello della grazia.
Ciò che ognuno dovrebbe fare è chiedere a Lui la luce per scoprire la propria vocazione e la forza per accoglierla e portarla a compimento. Invece oggi il Creatore viene escluso da ogni progetto educativo e pedagogico.
Di tutto ci si serve e tutto si insegna, tranne che la preghiera, l’elevazione del proprio essere in Dio per vedere ogni cosa con i suoi occhi. Cristo Gesù e il Vangelo, lo Spirito Santo e i Sacramenti, sono perfetti sconosciuti nella stragrande maggioranza dei luoghi in cui si educa la persona umana, e poi ci si trova con un’umanità squilibrata, inquieta, insoddisfatta, fuori fase. Questo perché si preferiscono soluzioni e terapie umane e intessute di immanenza all’azione misteriosa ed efficace della grazia di Dio.
Ritengo personalmente che il problema dell’uomo è il suo cuore e non il suo corpo o le dinamiche ad esso legate. È il cuore che deve diventare abitazione dell’Altissimo. È il cuore che deve imparare a custodire e rafforzare il legame con Cristo Gesù, nostro unico Redentore.
Il profeta Geremia è un esempio stupendo di quanto ciò sia vero. Ai suoi tempi non c’erano le teorie scientifiche e antropologiche che ci sono oggi, ma la soluzione che dona al suo tormento interiore è quanto mai attuale e sempre lo sarà:
«Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (cf. Ger 20,7-9).
Quest’uomo sperimentava la difficoltà di realizzare la sua vocazione, poiché viveva in mezzo ad un popolo dalla dura cervice, che lo perseguitava giorno e notte. Avrebbe voluto fuggire lontano, dimenticarsi di ciò che il Signore gli aveva chiesto di fare, della missione tanto delicata e difficile che gli era stata affidata dall’Alto. Ma non ci riusciva. Il suo cuore era in subbuglio e tanto grande era la sua sofferenza.
Ma capì qual era la soluzione e l’accolse con serenità e grande fede: doveva perseverare sino alla fine nel dono di sé a Dio secondo la sua vocazione. Solo quella era la via della pace interiore: obbedire in tutto a ciò che il Signore gli chiedeva di fare.
Ognuno di noi imiti questo grande profeta e aiuti chiunque a fare lo stesso. Ognuno accolga la propria vocazione e custodisca con amore il legame profondo con il cuore di Cristo, sorgente inesauribile di ogni grazia.
Ci aiuti la Vergine Maria, nostra Madre e Regina, e accenda in noi il fuoco della carità che arde nel cuore dei Santi.
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