Convegno organizzato dal CIF di Melito P. S.

“Quando il male ci interroga” – 29.1.2017

 

Relazione di don Lucio Bellantoni: “Male, sofferenza, dolore in chiave biblica”[1]

Desidero anzitutto salutare ciascuno di voi qui presenti e ringraziare per l’invito rivoltomi il CIF di questo Comune di Melito nella persona della sua Presidente, Dott.ssa Franca Carrabotta. Un saluto anche agli altri illustri relatori e al Dottor Tito Squillaci che coordina i lavori. Per me è un piacere e un onore poter contribuire affinché questa serata sia ricca di frutti spirituali.

Prima di addentrarci nel tema in esame è giusto, a mio giudizio, fare qualche precisazione terminologica utile per comprendere la mentalità biblica che è spesso distante dal sentire comune.

Le tre parole che compongono il titolo della relazione sono: male, sofferenza e dolore.

Il male non è da considerarsi in nessun caso una divinità. Esso è ciò che è contrario alla volontà di Dio e nasce – come vedremo – con la disobbedienza al comando d’amore che il Creatore dona alla creatura. Se volessimo comunque forzare la mano, potremmo dire che il Male è Satana, Angelo ribelle e padre della menzogna” (Gv 8,44) che vuole la rovina dell’intero creato e in particolar modo dell’uomo di cui è invidioso. Tuttavia egli rimane creatura e in nessun caso può essere considerato un principio eterno contrario al bene. Il dolore è l’effetto del male che si abbatte sull’umanità intera. Esso interessa sia la dimensione fisica che quella spirituale della persona e in questa duplice veste va sempre considerato. La sofferenza è infine la condizione esistenziale che si sviluppa quando si è a contatto con il male e il dolore che da esso deriva. In particolare va evidenziato che l’uomo soffre in modo unico rispetto a tutte le altre creature perché è capace di introspezione. Si chiede il “perché” della sofferenza e si interroga sul suo significato al fine di poterla vivere con serenità. È chiaro che, come nella vita quotidiana, nella storia della salvezza narrata nella Sacra Scrittura vi sono personaggi che accolgono la sofferenza e altri che la rifiutano. Tutto però dipende dal cuore di ciascuno che può decidere di abbandonarsi fiducioso alla sapienza celeste oppure di chiudersi all’azione della grazia.

Passiamo ora alla relazione vera e propria cercando di comprendere come vivere la sofferenza in modo autenticamente cristiano. Ho pensato di sottoporre alla vostra attenzione tre principi teologici per poi darvi alcune indicazioni di sintesi guardando in particolare a ciò che Gesù ha fatto e insegnato nella sua vita terrena. Le domande a cui in qualche modo cercheremo di rispondere sono le seguenti: qual è l’origine del male e della sofferenza ad essa legata? Perché viviamo in un mondo in cui il dolore ci assale e colpisce non di rado persone deboli e indifese? Se Dio è somma ed eterna bontà, perché non interviene? La sofferenza ha una sua utilità esistenziale oppure è soltanto dolore inutile?

Primo principio teologico: la sofferenza non viene da Dio.

La sofferenza – come del resto il male e il dolore – non è presente nel progetto originario di Dio. È il frutto della scelta stolta dell’uomo – e prima ancora di Satana – di emanciparsi dal Creatore, fino addirittura a ribellarsi a Lui. Le motivazioni possono essere tante. L’effetto è uno: la morte in tutte le sue dimensioni, siano esse spirituali o fisiche. I primi tre capitoli del libro della Genesi ci fanno comprendere facilmente tutto ciò. In esse è detto con estrema chiarezza che il Creatore fa ogni cosa con sapienza e amore. Il ritornello che lui stesso ripete al termine di ogni giorno è il seguente: “Dio vide che era cosa buona”. È cosa buona la natura in tutte le sue componenti e cosa “molto buona” l’uomo, creato insieme alla donna a immagine e somiglianza del Creatore (cf. Gn 1).

Affermare questa verità – e cioè che la sofferenza non viene da Dio – è assai importante per non cadere nell’errore di dare a Lui colpe che non ha. Egli è l’Innocente, il Santo dei santi, Colui che ama l’uomo perché è Amore nella sua essenza più profonda che non è mai e poi mai inquinata da intenti malvagi. Anche il suo agire è sempre sapiente per quanto non possa essere dall’uomo compreso in pienezza. Dare la colpa a Dio per le sofferenze che imperversano nel mondo è dire falsa testimonianza su di lui e infangare la sua sublime santità e somma sapienza. Dio permette la sofferenza per un mistero che non è sempre comprensibile dalla nostra piccola mente, ma Dio non è mai causa di sofferenza per l’uomo.

Cerchiamo allora di rispondere alla domanda: qual è dunque l’origine del male e della sofferenza ad essa legata? Perché viviamo in un mondo in cui il dolore ci assale e colpisce non di rado persone deboli e indifese?

Leggendo i primi tre capitoli della Genesi, dobbiamo cogliere un particolare molto importante: Dio crea l’uomo con un’intelligenza e con una volontà. L’uomo non è un burattino, ma è un essere capace di scelte libere. Il libro del Siracide ha a questo riguardo un’espressione molto chiara e realistica: 15Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l’essere fedele dipende dalla tua buona volontà. 16Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. 17Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Sir 15,15-17).

L’uomo deve scegliere ogni istante della sua vita se servire il Signore oppure voltargli le spalle. Deve scegliere se fidarsi di Dio oppure fidarsi dei propri progetti. Deve scegliere se fondare la sua vita sulla certezza sapiente che viene dal suo Creatore o precipitare nel baratro dell’indeterminatezza più assurda.

Sappiamo purtroppo che Adamo ed Eva scelsero di non obbedire alla voce del loro Creatore, cadendo entrambi nel tranello che l’astuto serpente preparò per loro. Essi decisero di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male cioè di autodeterminarsi a prescindere dalla volontà di Dio. Per loro e per l’umanità intera fu la rovina. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo ma anche perché l’uomo ha deciso – e decide – di dargli ascolto (cf. Sap 2,24).

La non fede nel comando di amore che Dio rivolge all’uomo è la causa della sofferenza che avvolge la nostra storia, in ogni dove e in ogni tempo. Cercare altre origini al mistero del male è perdere tempo inutilmente, perché la Parola di Dio non sbaglia. Una prima verità va messa allora sul candelabro di questa nostra riflessione: ciascuno di noi è chiamato a scegliere se servire o meno il Signore, se fare la sua volontà o seguire i propri pensieri, se essere fonte di vita per i suoi fratelli oppure strumento di morte. Stiamo attenti però a non attribuire a Dio le conseguenze nefaste della nostra stoltezza, dei nostri errori, della nostra irresponsabilità e immoralità. Questo è sbagliato e scorretto.

Secondo principio: il serpente – Satana – influenza l’uomo nelle sue decisioni ma non ha un potere illimitato su di lui.

Anche questo è importante e vi chiedo di essere saggi. Intanto va detto che la storia di Adamo ed Eva non è una favoletta. È raccontata con un particolare genere letterario ma rivela una storia realmente accaduta. Adamo ed Eva sono persone reali. Sono i nostri progenitori. Il testo sacro dice a noi ciò che è accaduto ma anche ciò che accade ancora oggi. Il serpente, Satana, ha tentato Eva ed Eva, una volta caduta in trappola, ha tentato Adamo. Oggi la storia continua ed è la stessa. Noi siamo tentati da Satana e da quanti decidono di essere suoi servi. Noi siamo condizionati nelle nostre scelte dal principe di questo mondo che ci vuole confondere, ci vuole rubare la Perla preziosa dal cuore, ci vuole rendere stolti, ci vuole fare cadere in trappola. Negare la realtà della tentazione è grande stoltezza, è aprire le porte al male che bussa con violenza alle porte del nostro cuore. Non si tratta di autosuggestione, ma di un influsso esterno alla nostra persona che vuole la nostra rovina.

Tuttavia il potere che Satana ha su di noi è un potere di seduzione e non di coercizione. Se cadiamo, cadiamo perché decidiamo di farlo. Non siamo costretti a cadere. L’ultimo atto della scelta è nostro. Che Satana non abbia un potere illimitato su di noi lo dice San Paolo che ha questa stupenda espressione: 13Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere. 14Perciò, miei cari, state lontani dall’idolatria. 15Parlo come a persone intelligenti (1 Cor 10,13-14). Le parole dell’Apostolo delle genti devono riempire il nostro cuore di vera speranza. Se vogliamo, possiamo vincere il male perché il Signore non ci fa mancare la sua grazia. Questa però dobbiamo chiedere con una preghiera fiduciosa e diuturna. Lo stesso concetto è annunciato già nel libro di Giobbe – nei primi due capitoli – in cui è detto che Dio mette un limite alla malvagità di Satana e Satana deve rispettare questo limite. Anch’egli è creatura e non divinità.

Che Dio metta un limite al potere di Satana è importante tenerlo presente per non cadere in una sorta di fatalismo – più o meno voluto – che non aiuta a comprendere il mistero della sofferenza e il “come” essa vada affrontata. Come già detto, quando la nostra volontà si allea con la grazia di Dio il male è sconfitto. Sempre. Bisogna che ci convinciamo che sulla nostra vita vigila l’Onnipotente, lui che conosce ciascuno di noi e sa bene il limite di sopportazione che abbiamo. Egli non permette che siamo tentati oltre le nostre forze. Però sta a noi scegliere di servire lui facendo sempre la sua volontà.

Il terzo principio teologico che reputo essere molto importante è il seguente: il male tende a farsi struttura e diventa quanto mai potente in quanto a forza distruttiva a causa dell’alleanza che fanno tra loro – in modo palese o velato – quanti decidono di emanciparsi da Dio, Angeli o uomini che siano. 

Prendendo in considerazione la Shoah, a cui questo Convegno è dedicato, possiamo comprendere questa verità che è presentata nella Sacra Scrittura e nella storia di Gesù. Pensiamo per un istante ad Hitler. Di fatto egli non avrebbe potuto da solo uccidere se non qualche decina di Ebrei. Sostenuto però da un sistema politico, militare e prima ancora filosofico e ideologico, il leader tedesco divenne causa di morte per 6 milioni di Ebrei. Ciò che voglio dire è che la Shoah non è frutto di un solo uomo ma di un sistema di potere diabolico dal volto multiforme. Il peccato dell’uno ha dato forza al peccato dell’altro e così si è come scatenata una reazione a catena simile a quella che si scatena in una bomba nucleare che ha generato morte e sofferenza in numerose città e nazioni per un periodo di tempo che è durato anni. La stessa dinamica devastante si è del resto avuta in occasione della condanna a morte di Gesù. Il peccato dei Sommi Sacerdoti si è alleato con il peccato di Giuda, con quello di Pilato, con quello della folla, con quello dei soldati. L’effetto è stato dirompente e capace di inchiodare sulla croce il Figlio di Dio, nonostante Questi fosse innocente e non avesse fatto male a nessuno. Il male cerca queste strutture. Il male cerca queste alleanze e sta a noi non cadere nella ragnatela che esso costruisce servendosi di coloro che diventano suoi.

Comprendete che è compito di ciascuno di noi spezzare questa catena, rompere questa struttura di alleanze che sono veramente deleterie. Dobbiamo in tal senso essere forti e coraggiosi, pieni di fede e capaci di scelte responsabili. La triste realtà dell’aborto ad esempio, non funziona forse con lo stesso meccanismo? In esso vi sono coinvolti non solo le madri che decidono di sopprimere la creatura che portano in grembo, ma anche i mariti, i parenti, gli amici, quanti si fanno difensori di filosofie scientifiche contrarie alla verità del Vangelo, i medici, gli infermieri e coloro che hanno promulgato e promulgano leggi abortiste.

 

Cosa fare dunque? Come il cristiano può vincere il male e come è chiamato a vivere la sofferenza?

Va detto con estrema chiarezza che il male si vince in un solo modo: riponendo la propria vita in Dio con la perfetta obbedienza alla sua volontà. Chi vuole vincere il male deve rivestirsi di grande umiltà e divenire povero in spirito nella consapevolezza che ogni volta che si decide di farsi arbitri del bene e del male si finisce per divenire strumenti di morte per se stessi e per l’umanità intera. Hitler ne è un esempio e con lui tutti coloro che lo hanno seguito e hanno sposato la sua ideologia diabolica.

L’alleanza la dobbiamo fare non con Satana e le sue strutture di morte, ma con l’Onnipotente. Da soli ci perdiamo. Con il suo aiuto e sostenuti dalla sua grazia vinciamo il male e diveniamo al tempo stesso “sacramento di salvezza” e datori di vita. Che la grazia sia necessaria va gridato oggi con forza perché sono tanti coloro che con superficialità e presunzione pensano di poterne fare a meno e/o arrivano a considerano il male un semplice fatto culturale e nulla di più. Questa mentalità è pericolosa e apre le porte al totale fallimento esistenziale.

La sofferenza va assunta e redenta. Con la grazia di Dio essa può essere trasformata in una preziosa occasione per amare, per divenire causa di salvezza per il mondo intero. Si badi bene tuttavia che ciò è possibile solo in Cristo Gesù. Siamo stati creati per mezzo di Lui e per mezzo di Lui siamo redenti. La Redenzione non è un fatto di pensiero. Non è una filosofia. Non è un codice morale. È la rigenerazione dell’uomo nelle profondità del suo essere. È un fatto ontologico prima che esistenziale. La Redenzione dell’uomo e della sua condizione storica ha bisogno di Cristo e dello Spirito Santo che è stato da lui effuso sulla croce nel grande martirio. La Redenzione è possibile solo in Cristo. Fuori di Lui è la morte del nostro essere e del nostro esistere.

Se ogni giorno diventiamo corpo di Cristo esistenzialmente, dopo esserlo diventati sacramentalmente con il Battesimo, allora possiamo vincere il male perché diveniamo partecipi dell’onnipotenza divina. Al contrario, se ci separiamo da Cristo preferendo le tenebre alla luce, Satana ci annienta, ci disintegra, si serve di noi per devastare l’umanità e l’intero creato, e dopo aver fatto tutto ciò ci trascina con sé nelle profondità più oscure dell’Inferno.

Nell’obbedienza alla volontà di Dio si è uniti a Cristo Gesù. Nella disobbedienza invece di è da Lui separati. L’Apostolo Giovanni ha a tal riguardo parole quanto mai chiare:

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (Gv 15,1-8).

Siamo intimamente legati a Cristo, vera Vite, nella misura in cui le sue parole rimangono in noi cioè quando le sue parole diventano nostro pensiero e nostra vita. L’obbedienza infatti non è ad un Dio generico e avulso dalla realtà, ma al Dio di Gesù Cristo che parla a noi nello Spirito Santo e ci rivela il progetto che vuole realizzare oggi con noi.

Nell’obbedienza il frutto è abbondante come lo è stato per Gesù: guardando lui, contemplando lui, amando lui, ascoltando lui, la sofferenza può essere assunta e redenta e da tragedia senza soluzione diventa la via per divenire una sola vita, una sola missione, un una sola carità con Gesù crocifisso per la salvezza di una moltitudine di anime.

 

Conclusione:

Quanto detto sinora appare “follia e scandalo per Giudei e Greci, credenti e non credenti” (cf. 1 Cor 1,22) se viene a mancare una visione altissima di fede dell’esistenza umana. Senza fede si è al buio, nelle tenebre, e il Vangelo è considerato un libro d’altri tempi e comunque una parola non vivibile. Con la fede invece tutto cambia perché ci si lascia guarire e muovere dallo Spirito Santo. In un’ottica di fede la tentazione può essere vinta e la sofferenza, che nasce dal male che si abbatte su di noi in svariate forme, può essere interpretata e vissuta alla maniera di Cristo Signore. La fede è necessaria e deve aprirsi alla speranza come prospettiva eterna e non più contingente dell’esistenza. La speranza si tramuta poi in carità sincera e cioè in offerta di se stessi, in unione al sacrificio di Cristo Gesù, perché ancora oggi la Redenzione si compia fino agli estremi confini della terra. Fede, speranza e carità sono perciò la via obbligata, ma sublime, perché Cristo viva in noi e noi in lui, perché il male venga sconfitto e la morte non abbia potere su di noi in eterno e per sempre.

Che la Vergine Maria, Madre della Redenzione, ci ottenga dal Figlio suo la sapienza del cuore e ci custodisca sotto il suo manto di misericordia per tutti i giorni della nostra vita.

Autore:

Sac. Lucio Bellantoni

web: www.giobbeling.eu

 

[1] Per approfondimenti sul tema della sofferenza che risulta essere molto vasto, oltre che assai delicato, si consulti: L. Bellantoni, Nel mistero della sofferenza. Quando la luce del Golgota si posa sulla croce di Giobbe, Cittadella, Assisi 2013. Il testo affronta il tema in chiave esistenziale guardando alla vicenda del giusto Giobbe e di Gesù Cristo. È uno studio scientifico ma scritto con un linguaggio accessibile e contiene molti riferimenti bibliografici a cui si può fare riferimento.