XXXIV Domenica Anno C – Il popolo stava a vedere (Lc 23,35-43)

XXXIV Domenica Anno C – Il popolo stava a vedere (Lc 23,35-43)

In quel tempo, dopo che i soldati ebbero crocifisso Gesù, il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».

Il Vangelo di questa Domenica, dedicata a Gesù Cristo Re dell’Universo, disegna uno scenario assai triste che non è però lontano da quanto accade ai nostri giorni in molti ambienti in cui l’uomo vive.

Oggi come allora, c’è un mondo che schernisce Cristo Gesù, lo rinnega come suo unico Creatore e Redentore, lo dipinge come un malfattore, nega la sua divinità, lo considera un nemico dell’uomo, lo crocifigge, lo bestemmia e osa insultarlo senza alcuna pietà. E mentre tutto questo accade il cristiano cosa fa? Nella gran parte dei casi, come il popolo, sta a guardare come se nulla fosse, con le mani in mano e la testa per aria (cf. Lc 23-35).

In più parti del globo terreste, si vive insomma la propria esistenza cristiana da spettatori e non da protagonisti della storia della salvezza. Si è lì, seduti su una comoda poltrona ad ammirare lo spettacolo, vinti dalla pigrizia o dalla paura, succubi di quella latente mentalità della delega, oggi assai diffusa, che porta a pensare che sia sempre compito degli altri scendere in campo, lavorare nelle Parrocchie, evangelizzare i popoli, formare le coscienze, porgere la mano ai crocifissi della storia e fare tutto il resto che bisogna fare perché il mondo creda in Cristo e si converta al Vangelo.

Va detto con tutta chiarezza che un tale atteggiamento non è quello che è richiesto al cristiano. Un tale atteggiamento non contrasta il male che avanza, e in molti casi addirittura lo giustifica in nome di mille teorie che non hanno nulla a che fare con il Vangelo di nostro Signore.

Diciamocelo francamente: siamo colpevoli se nulla facciamo perché Cristo trionfi. Siamo colpevoli se nulla facciamo per difendere Colui che diciamo essere il nostro Re. Siamo colpevoli se non siamo disposti a dare la vita perché il Regno di Dio si espanda sino agli estremi confini della terra.

La regalità di Cristo è legata alla nostra fede di cristiani, nel senso che Gesù può governare i cuori e ricolmarli del suo amore se noi ci diamo da fare. Non possiamo dimenticarci che con il Sacramento della Cresima siamo diventati soldati di Cristo e suo esercito. Il soldato non può stare a guardare mentre infuria la battaglia. Deve combattere anche a costo di perdere la vita pur di difendere il suo Re e i suoi ideali. Questo non significa certo imbracciare le armi e fare le Crociate contro chi combatte la verità del Vangelo. Significa però fare proprio l’invito di San Paolo che parla di una battaglia di ordine spirituale che richiede la nostra continua crescita in santità nell’abbandono di tutto ciò che è male e contrario alla volontà di Dio.

Significa altresì combattere la battaglia culturale e sociale – non certamente armata – che hanno combattuto i Santi, con la mitezza e la sapienza di chi sa e vuole essere testimone coraggioso di Cristo nel mondo. I Santi – pensiamo San Francesco d’Assisi, Padre Pio, Giovanni Paolo II e chiunque altro – non hanno ucciso nessuno, né hanno usato mai la violenza. Hanno però dato la vita perché la luce trionfasse sulle tenebre, e con l’annuncio coraggioso del Vangelo hanno cambiato la mentalità dei popoli. Hanno amato la Chiesa, non l’hanno giudicata e condannata, e sono stati per essa lievito buono di conversione e di santificazione. La loro vita è stata una battaglia e non uno stare a guardare Cristo crocifisso mentre veniva torturato e insultato.

La forza del cristianesimo non sono le bombe e le mitragliatrici, né le urla di protesta nelle piazze e l’inveire contro i potenti, ma la fede che intesse di sapienza celeste la vita degli uomini manifestando ovunque, in parole e opere, l’onnipotenza salvatrice dell’amore di Dio. Nelle famiglie, nelle Parrocchie, nelle scuole, nei Parlamenti, nelle Università, sui social network e in qualsiasi altro luogo della vita sociale, il cristiano deve portare la luce della Parola di Dio e fare quanto gli compete perché ogni uomo pensi i pensieri di Cristo. Dalla sua testimonianza, viva e coraggiosa, nasce la vita del Regno dei Cieli.

Il Vangelo di questa Domenica è un invito a non trincerarci dietro le nostre paure delegando ad altri ciò che compete solo a noi fare. È un invito a partecipare attivamente alla vita della Chiesa mettendo a frutto i nostri carismi per far risplendere il suo volto di celeste bellezza. È un invito ad imitare, per lo meno, il buon ladrone che ha riconosciuto i suoi peccati e prima ancora ha difeso Gesù dalle accuse false che gli venivano mosse.

Attraverso ciascuno di noi – nessuno escluso – Cristo può regnare nei cuori e salvare tante anime. Ma ha bisogno della nostra fede che ci fa scendere sul campo di battaglia e imbracciare le armi della luce (cf. Rm 13,12; Ef 6,10-20). Gesù, Re dell’Universo, conta su di noi. Ha bisogno di noi. Chiede a ciascuno di noi di combattere per lui e con lui affinché l’umanità creda che solo lui è il Salvatore e il Redentore dell’uomo, la sua pace, la sua unica speranza.

Che la Vergine Maria, Donna forte che ha dato tutta se stessa per l’edificazione del Regno di Dio, ci conceda la grazia di saperla imitare ogni giorno della nostra vita.