«La vocazione sacerdotale è un mistero. È il mistero di un “meraviglioso scambio” – admirabile commercium – tra Dio e l’uomo. Questi dona a Cristo la sua umanità, perché Egli se ne possa servire come strumento di salvezza, quasi facendo di quest’uomo un altro se stesso» (S. Giovanni Paolo II, Dono e Mistero, LEV, 84).
Nella IV Domenica di Pasqua, Domenica del Buon Pastore, le parole che San Giovanni Paolo II scrisse in occasione del 50° anniversario della sua Ordinazione sacerdotale, possono aiutarci a fare luce sul grande mistero che avvolge il Sacerdote, e ancor più il Vescovo e il Papa. Tale mistero è insondabile da mente umana. È mistero che squarcia i confini del tempo e dello spazio. È mistero che rende possibile la Redenzione, la salvezza del gregge per cui il Buon Pastore ha versato il suo sangue dall’alto della croce. Tale mistero va custodito, annunciato, rispettato nella sua profonda verità.
Laddove è presente il Sacerdote, Cristo continua a farsi Cibo di vita eterna e Bevanda di salvezza. Continua a perdonare i peccatori e a donare loro un cuore nuovo. Continua ad effondere lo Spirito Santo che eleva, sana e guarisce. Continua ad ammaestrare le folle, illuminare le coscienze, parlare del Padre suo al mondo intero affinché passi dalle tenebre alla luce. Continua a guidare con amore e fermezza ogni singola pecorella che «ascolta la Sua voce e lo segue con docilità laddove Egli la conduce» (cf. Gv 10,27-28).
Il Sacerdote – e tanto più il Vescovo e il Papa – è chiamato ad essere strumento di salvezza per il mondo intero. Il suo non è un mestiere o una professione. È vera e propria consacrazione alla missione salvifica universale che Cristo ha affidato alla sua Chiesa che è una, santa cattolica e apostolica.
Il Sacerdote è «scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati» (Eb 5,1). Egli non può concedersi una vita da profani che vivono soffocati dalle cose delle Terra, che rincorrono le false illusioni e adorano gli idoli costruiti dalle menti perverse di chi sceglie il male come suo signore. Non può conformarsi alla mentalità del mondo, ma piuttosto deve elevarsi in Dio, con tutto il proprio essere, per discernere la Sua volontà e aiutare chiunque altro a conoscerla e a viverla fino in fondo (cf. Rm 12,2).
Il Sacerdote non può appartenere a nessuno se non a Gesù, alla sua Chiesa e alla Vergine Maria, perché solo se il suo cuore è totalmente libero, da tutto e da tutti, lo Spirito Santo si può servire di lui alla perfezione, senza ritardi e senza interferenze.
È grande il mistero che avvolge il Sacerdote – e tanto più il Vescovo e il Papa – perché Cristo vuole farne di lui quasi un altro se stesso. Rimane certo l’abisso tra il Figlio dell’Altissimo – che è “luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato, della stessa sostanza del Padre” – e il chiamato che è un uomo impastato di creta friabile (cf. 2 Cor 4,7), ma ciò che accade il giorno dell’Ordinazione sacerdotale è qualcosa di veramente grandioso.
Con il Battesimo si diventa figli di Dio, partecipi della natura divina. Con la Cresima si riceve lo Spirito Santo con i suoi sette doni per testimoniare ovunque il Vangelo, ognuno secondo la propria vocazione. Con il Sacerdozio, nel suo secondo e terzo grado, si viene conformati a Cristo Maestro, Capo e Pastore del gregge affinché Cristo stesso continui a prendersi cura delle sue pecorelle e del mondo intero.
Pensare a tale prodigio della grazia di Dio fa tremare di gioia, ma anche di responsabilità. Gesù affida se stesso prima di tutto al Papa, ai Vescovi, ai Sacerdoti loro collaboratori. Si mette nelle loro mani consacrate e chiede di vivere in loro come ha potuto fare nell’Apostolo Paolo che diceva: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,19b-20). Veramente Gesù vuole fare del Sacerdote un alter Christus!
È automatico il compimento di tale mistero nel Sacerdote? Basta l’Ordinazione sacerdotale? No di certo. Quanto si compie misticamente nel Sacramento bisogna che si compia ogni giorno di più nell’esistenza del singolo presbitero, Vescovo, Papa. Il dono va ravvivato, custodito, sviluppato, in un crescendo che finisce solo al momento della morte.
Ecco perché San Giovanni Paolo II parla di admirabile commercium tra Dio e l’uomo: il Sacerdote dona a Cristo la sua volontà e Cristo opera in lui con tutta la sua onnipotenza di grazia e verità. È questo meraviglioso scambio che ogni giorno rende vera, autentica ed efficace la consacrazione del Sacerdote a Gesù e alla missione salvifica, che Egli gli affida. È la consegna della volontà al Figlio dell’Altissimo che rende il Sacerdote strumento di salvezza per ciascuno e per tutti. È l’obbedienza «fino alla morte e alla morte di croce» (cf. Fil 2,5-11) che fa sì che Cristo agisca nei suoi ministri, non solo ex opere operato, ma anche ex opere operantis, cioè sempre e dovunque.
La santità, che è consegna totale e totalizzante di sé al Buon Pastore, è ciò che fa la differenza, la grazia che bisogna chiedere ogni giorno, l’obiettivo da raggiungere passo dopo passo, la ragione profonda che deve animare l’esistenza di chi ha ricevuto un dono così grande e meraviglioso.
Che la Vergine Maria, Regina degli Apostoli, prenda per mano i Sacerdoti, i Vescovi e il Santo Padre, Leone XIV a cui va il nostro ringraziamento per il “sì” pronunciato l’8 maggio 2025 e al quale promettiamo filiale rispetto e obbedienza, mentre eleviamo la nostra preghiera al Padre celeste affinché lo assista nella sua missione di «Capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale» (CIC 331).
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