Perdonare sempre, cioè fino a settanta volte sette, non è facile ma è ciò che Gesù chiede a ciascuno di noi. Il perdono infatti deve contraddistinguere il cristiano tanto da essere la sua carta di presentazione dinanzi al mondo. Esso fa la differenza ed è ciò che attesta la nostra piena conformazione al divin Maestro che dall’alto della croce amò i suoi carnefici e disse: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Se non perdoniamo, rimaniamo fuori del Vangelo. Non lo possiamo annunciare perché noi per primi non lo viviamo. Non lo possiamo proporre come unica filosofia di vita perché noi per primi non crediamo che esso sia l’unica Parola degna di fiducia.
Il perdono è una questione di fede che ci tocca personalmente e che non possiamo mettere tra parentesi. Dobbiamo impegnarci con tutte le forze per farne il nostro stile di vita, credendo fermamente che esso è la via per vincere il male e trovare la pace.
La parabola che siamo chiamati a meditare in questa XXIV Domenica del Tempo Ordinario (A) ci dona indicazioni preziose a tal riguardo che vale la pena mettere nel cuore.
Anzitutto in essa comprendiamo che per perdonare è necessaria la volontà:
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito (Mt 18,28-30).
Il testo sacro specifica che il servo creditore non volle dare al suo compagno la possibilità di pagare il debito. Lo prese per il collo fino a farlo soffocare e lo fece gettare in prigione. La sua cattiva volontà fu il suo peggior nemico, l’ostacolo insormontabile che gli impedì di fare ciò che è gradito a Dio.
Se manca la nostra volontà, la grazia non può operare. E così rimaniamo schiacciati dalla nostra natura vecchia e dalla tentazione che vuole la nostra rovina. “Volere è potere”, si diceva una volta. Ed è proprio vero! O per lo meno è l’inizio per realizzare in noi Cristo Gesù, unico Modello di umanità vera e redenta, capace di amare e di perdonare fino a settanta volte sette.
Se ci sia in noi la volontà di perdonare o meno quanti ci hanno offeso, lo attesta in realtà la nostra preghiera. Se in essa noi chiediamo senza stancarci la forza di perdonare e la grazia di riconciliarci con i nostri fratelli, allora il nostro cuore è aperto al perdono. Non riesce ancora a viverlo, ma vuole viverlo. E prima o poi ce la farà con l’aiuto del Cielo. Se invece nella preghiera noi “ci dimentichiamo” dei nostri carnefici o di coloro con cui abbiamo avuto a che dire, significa che il nostro cuore è rinchiuso nel carcere dell’orgoglio, del risentimento, dell’astio e di quella sottile indifferenza che non fa ben sperare. Basterebbe esaminare la propria preghiera per capire se si vuole o meno perdonare una persona.
Ma c’è un altro motivo importante per cui vale la pena perdonare. Esso appare nella parabola in esame che specifica che viene perdonato da Dio colui che perdona. Il perdono insomma è dato a chi è capace di perdonare, e non a tutti indistintamente. Bisogna stare attenti a non tralasciare questa grande verità che oggi è poco insegnata e conosciuta. Probabilmente perché piace poco o forse perché si preferisce pensare che basta chiedere perdono e confessarsi e poi tutto può continuare ad andare come se nulla fosse. Nel cuore rimane il risentimento più o meno palese, si ignora il fratello e lo si giudica degno di morte eterna ma poi non si fa nulla per la sua conversione, neanche una semplice preghiera.
Questo linguaggio è duro, ma è Vangelo. Tocca noi credere che perdonare sempre è possibile quando la buona volontà si allea con la grazia di Dio ed è conveniente per non rischiare di essere puniti della punizione che meritano gli infedeli.
Che la Vergine Maria, che ai piedi della croce ha perdonato i carnefici del suo Figlio e tutti noi peccatori, ci aiuti e ci soccorra affinché sappiamo perdonare fino a settanta volte sette.
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