Mistero e vocazione del cristiano – XVII Domenica Ord (C)

Mistero e vocazione del cristiano – XVII Domenica Ord (C)

Il Padre nostro è una preghiera stupenda che tutti noi dobbiamo recitare più volte al giorno. Grazie ad essa il nostro spirito si eleva in Dio, lo contempla nella sua grande bontà, ne sperimenta la dolce presenza rassicurante e vince la solitudine esistenziale.

Questa preghiera può veramente cambiare la nostra vita o meglio donarle un sapore nuovo, il sapore della sapienza celeste che discende dall’Alto e ci rende capaci di vedere ogni cosa con gli occhi di Cristo Gesù.

Tuttavia bisogna che la recitiamo con il cuore e non con le labbra, con la perenne novità dello Spirito Santo vivo in noi e non in modo mnemonico, con il desiderio di crescere in santità e non quell’abitudine che uccide la fede di molti cristiani.

Se vogliamo, grazie a questa preghiera, possiamo trasformare le nostre giornate in preziose occasioni per amare, ma ad una condizione: che meditiamo le parole che diciamo, poiché in esse sono nascosti il nostro mistero e la nostra vocazione. Mistero che dobbiamo amare, rispettare, accogliere e adorare; vocazione che dobbiamo vivere fino in fondo.

Mistero da amare, rispettare, accogliere e adorare: siamo figli di Dio. Non più solo creature ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26-27) – e questo è già qualcosa di grande – ma figli di Dio in Cristo Gesù. Su questo bisogna essere chiari: tra noi e gli altri c’è differenza, grande differenza.

Nelle acque del Battesimo siamo rinati a vita nuova. Siamo stati resi partecipi della natura divina. Siamo diventati proprietà dell’Altissimo in una maniera particolarissima e unica che non appartiene all’uomo per creazione, bensì per redenzione. Da tenebra siamo divenuti luce. Da uomini segnati dal peccato e dalla morte siamo divenuti uomini che possono vincere il male e risorgere in Cristo Signore, oggi e in modo definitivo nell’ultimo giorno.

Essere figli di Dio significa avere un Padre nel Cielo che non è un estraneo, ma un Padre misericordioso e amorevole, onnipotente e santo, che si prende cura di noi e ci custodisce con paterna bontà.

Il Padre celeste ci ama da figli e non da creature. C’è differenza in questo, una grande differenza. Sappiamo cos’è un figlio per un genitore. È parte di sé, è vita della sua vita, è la luce dei suoi occhi. Ora, se questo vale in un’ottica di amore umano, terreno, naturale, figuriamoci cosa quanto possa valere e cosa possa significare in un’ottica celeste, divina, soprannaturale (cf. Lc 11,9-13).

Essere figli di Dio è mistero insondabile che la mente umana deve amare, rispettare, accogliere e adorare. Non può e non deve negarlo – come purtroppo oggi molti fanno – perché questo significherebbe divenire ciechi e vivere senza poter cogliere e sviluppare la grandezza e la preziosità del dono ricevuto.

Vocazione da vivere fino in fondo: ciò che è accaduto sacramentalmente deve però essere portato a compimento.

Il Padre celeste ci ha fatto un grande dono facendoci suoi figli, ma ci chiede di vivere per Cristo, con Cristo e in Cristo, di amare alla sua maniera e divenire in Lui strumenti di salvezza per il mondo intero.

Siamo figli di Dio, ma non per noi stessi. Non lo siamo non per ostentare la ricchezza ricevuta, ma per svilupparne tutte le potenzialità di grazia e verità, attraverso un cammino quotidiano di conversione e santificazione.

Chi recita il Padre nostro con fede e consapevolezza sa di essere chiamato alla perfezione e sa che tale perfezione non si raggiunge in un solo giorno: «Siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48); costui si sforza di seguire quotidianamente il Cristo nel cammino verso Gerusalemme, con determinazione e serenità, attraversando la porta stretta del Vangelo che conduce alla vita: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc 9,23).

Ecco allora le richieste del Padre nostro: la santità della vita, lo zelo missionario per condurre ogni uomo a salvezza, la perfetta obbedienza, il dono dell’Eucaristia e con essa tutte le grazie necessarie – spirituali e materiali – per non venire meno lungo il viaggio, il perdono dei peccati e la forza di perdonare, la custodia da ogni male e la vittoria su ogni tentazione.

Il mistero è grande. La vocazione è sublime, e bisogna viverla fino in fondo, senza stancarsi, senza venire meno, perseverando sino alla fine.

Recitiamo dunque con fede il Padre nostro e impegniamoci con tutte le nostre forze a vivere da veri figli di Dio, perché se vogliamo, possiamo. Il Signore non ci farà mancare la sua grazia e molte anime si convertiranno per mezzo nostro.

Ci aiuti in questo la Vergine Maria, Madre della Redenzione, e ci sostenga in ogni momento della nostra vita.

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