La gioia vera è un dono che il Signore fa a quanti decidono di seguirlo e di fare la sua volontà. È il premio per coloro che fondano la loro esistenza sulla sua Parola e lo accolgono come l’unico vero Maestro, lo Sposo dell’anima, il divino Consolatore.
Essa riempie il cuore e ha come sua compagna di viaggio la pace. È una gioia particolare che il mondo non può donare, perché non la possiede, e che non può essere acquistata da nessuna parte, anche se si possiede un conto in Banca di tutto rispetto:
«Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni» (Mc 10,21-22).
La gioia vera nasce dalla perfetta comunione con Gesù ed è la gioia dell’anima che canta il suo Magnificat al Dio onnipotente e santo, che volge il suo sguardo sugli umili e ricolma di beni quanti hanno fame e sete di lui. È la gioia di chi è libero dagli affanni del mondo e riesce a librarsi sulle ali del vento dello Spirito Santo, lasciandosi da lui condurre laddove vuole senza opporre alcuna resistenza.
Questa gioia è la gioia di vivere in armonia con il Creatore e con i fratelli, che prima di essere un sentimento umano è un frutto squisito dello Spirito Santo che come albero rigoglioso pianta le sue radici nel cuore del credente e fa sentire il suo profumo attorno a lui.
Ma vi è un’espressione, che San Paolo attribuisce a Gesù negli Atti degli Apostoli, che ci può aiutare a comprendere ancora meglio il Vangelo di questa Domenica. L’espressione è questa: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35).
Siamo gioiosi nella misura in cui amiamo quanti ci stanno accanto, facciamo della nostra vita un dono, pensiamo ogni giorno come fare il bene vivendo secondo la nostra particolare vocazione. Nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli vi è la gioia. Nell’egoismo invece vi è la tristezza.
Il giovane ricco se ne andò via scuro in volto perché non ebbe il coraggio e la forza di liberarsi dalle sue molte ricchezze, che erano per il suo cuore una prigione che incarcerava il suo amore. Lui non credette che le ricchezze sono date a noi dal Cielo perché le distribuiamo con sapienza a quanti ne hanno bisogno. Non ci sono affidate perché noi ce ne impossessiamo, ma perché le sappiamo amministrare.
E qui non parliamo semplicemente delle ricchezze materiali. Parliamo anche di quelle spirituali, che possono essere i nostri carismi, le nostre competenze, i ministeri che riceviamo dalla Chiesa, tutto ciò che noi siamo.
Al di là di una particolare vocazione a lasciare tutto per seguire Gesù, che è vocazione di alcuni eletti, ogni cristiano deve vedere se stesso come uno strumento nelle mani di Dio perché Dio possa farsi provvidenza per i suoi figli. Deve essere disposto a perdere tutto pur di guadagnare la vera ricchezza: la santità del corpo, dell’anima e dello spirito.
Il giovane ricco non accolse l’invito stupendo di Gesù che lo chiamava a divenire un altro “sé” per la salvezza di tanti fratelli. Preferì le ricchezze e i suoi molti beni, ed essi diventarono per lui motivo di tristezza infinita.
Dobbiamo convincerci che tutti possiamo amare, perché l’amore è la vocazione che Dio ha scritto nel cuore di ognuno con caratteri indelebili. Per tale motivo è urgente che vinciamo la tentazione, sempre presente, dell’egoismo e dell’egocentrismo, altrimenti la nostra vita rimarrà incompiuta, perché non riusciremo a realizzare il fine per cui siamo stati creati.
La Vergine Maria, Regina di tutti i Santi, ci aiuti con la sua potente intercessione e ci liberi da tutto ciò che incarcera il nostro amore e ci impedisce di farci in Cristo dono di salvezza gli uni per gli altri.
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