Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini – III Pasqua (C)

Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini – III Pasqua (C)

«Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29). Queste parole che Pietro insieme agli Apostoli ha pronunciato dinanzi al sommo sacerdote, nel sinedrio, dicono l’essenza della vita cristiana.

Obbedire alla volontà di Dio, infatti, è tutto per noi che siamo battezzati e desideriamo essere discepoli di Gesù. Ciò che il nostro Maestro ha fatto anche noi siamo chiamati a farlo. Lui ha sempre obbedito al Padre suo, senza nulla aggiungere e senza nulla togliere al suo comando d’amore. Noi sempre dobbiamo obbedire a Gesù, e dunque al Padre celeste, senza nulla aggiungere e nulla togliere al loro comando d’amore.

L’obbedienza deve essere la virtù principale da acquisire, deve diventare in noi ogni giorno più perfetta, immediata, piena e incondizionata. E questo perché solo nell’obbedienza è la salvezza per sé e per gli altri. Costi quel che costi, in tale dimensione dell’esistenza cristiana bisogna crescere, con grande impegno e spirito di abnegazione.

Pertanto bisogna imparare a fidarsi di Dio, della sua sapienza anziché della propria o altrui. Bisogna lasciar stare tutte le voci di coloro che – uomini e donne – vorrebbero condurci su sentieri che non sono volontà di Dio, anche quando questo significa essere derisi e incompresi.

Nell’obbedienza si è strumenti dello Spirito Santo. Nella disobbedienza si è strumenti di Satana. Le conseguenze sono immensamente differenti, perché sono di vita o di morte, di grazia o di peccato, di edificazione o di distruzione del Regno di Dio. Non è la stessa cosa obbedire a Dio o agli uomini, secondo quanto il Creatore ha detto sin dai primordi della storia dell’umanità ad Adamo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gn 2,16-17).

Pietro è nel sinedrio e non è più quello di un tempo. Ha capito – dopo aver pianto amaramente nel cortile della casa del sommo sacerdote (Lc 22,61-62) – che rinnegare il Signore è peccato gravissimo. È rendere vana la croce di Cristo. È calpestare il sangue dei Martiri. È tradire la fiducia che Dio ripone nei suoi Apostoli e discepoli. È perdere il Tutto per il niente.

E così non ha paura di essere flagellato o torturato, e neanche di essere crocifisso per rendere testimonianza al Risorto. Pietro è ora determinato, rivestito di potenza dall’Alto, deciso in cuor suo a vivere fino in fondo, e secondo il cuore di Cristo, il suo altissimo ministero di principe degli Apostoli e vicario in Terra del suo Maestro e Signore.

Egli sa che chi ha nella Chiesa responsabilità di governo – e lui ne ha più di tutti – è obbligato in coscienza ad obbedire a Dio e mai agli uomini. Altrimenti non è pastore del gregge, ma ladro, brigante o mercenario (cf. Gv 10,1-18). Non dà la vita al e per il gregge, ma si pasce delle pecore a suo vantaggio. Non pasce gli agnellini, ma li sacrifica sull’altare del mondo per ingrassare i cinghiali selvatici che devastano la Vigna del Signore (cf. Sal 80).

Pietro è ora consapevole di quanto delicata sia la sua missione. Non può obbedire agli uomini se ama Gesù (cf. Gv 21,15-19), se vuole il bene del gregge a lui affidato, se vuole che la Chiesa sia credibile, se vuole aiutare quanti sono di buona volontà a convertirsi per “salvarsi da questa generazione perversa” (cf. At 2,38-40). Dalla sua obbedienza allo Spirito Santo nasce la salvezza per le pecore e per gli agnelli. Dalla sua disobbedienza nasce la perdizione. È compito di Pietro – che sempre deve operare in comunione con gli Apostoli e loro con lui – indicare la via che conduce a Cristo Gesù, e dunque annunciare il Vangelo secondo verità, «insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Tm 3,16-17), essere ogni giorno fedele dispensatore dei divini misteri, guidare la Chiesa secondo la volontà di Dio e non secondo la volontà degli uomini.

Pietro, che dinanzi al sommo sacerdote professa con coraggio la sua fede in Cristo Risorto ed esercita con sapienza ispirata il suo ministero apostolico, è per noi tutti un esempio mirabile a cui guardare.

Lo è per il semplice battezzato e ancor di più per chi ha responsabilità di governo nella Chiesa, nella società civile, nella famiglia e in ogni altro campo della vita umana. Lo è per il Papa, prima di tutto, che è «la pietra su cui Gesù ha fondato la sua Chiesa sulla quale mai prevarranno le porte degli inferi» (cf. Mt 16,18). Lo è per i Cardinali e i Vescovi, i Sacerdoti e i Parroci, i Diaconi, i Rettori dei Seminari e i Docenti che svolgono il loro ministero nelle Università cattoliche, i Superiori degli Istituti di vita consacrata, i Responsabili di Gruppi, Movimenti e Associazioni. Lo è per i genitori, i catechisti, gli insegnanti, i formatori in genere. Lo è per tutti coloro, insomma, a cui il Signore affida, a diverso titolo, altri da condurre sulla via della Verità e della Vita, e anche per ciascun cristiano che è chiamato a salvare se stesso dalle grinfie del demonio che vuole una Chiesa che pensa secondo il mondo e non secondo il cuore di Dio Padre.

A Pietro dunque guardiamo con ammirazione e grande fede per imitarlo nella testimonianza di Cristo Risorto, dinanzi a chiunque chieda ragione della nostra speranza.

Che Lui dal Cielo interceda per noi insieme alla Vergine Maria, Regina degli Apostoli, affinché una nuova Pentecoste si compia su di noi e in particolare sui Cardinali che sono chiamati in questi giorni a scegliere, nello Spirito Santo, il successore di San Pietro, per il bene della Chiesa e dell’umanità intera.

 

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