Il terzo canto del Servo di Jahvé, che la Liturgia della Domenica delle Palme propone alla nostra riflessione ogni anno, descrive in maniera mirabile l’atteggiamento con cui Gesù ha affrontato la sua dolorosa Passione e che dovrebbe caratterizzare anche la vita di ogni cristiano.
«Il Signore Dio ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro» (Is 50,4-5).
Gesù è anzitutto colui che si fa discepolo del Padre suo e lo ascolta con un orecchio attento che nulla lascia cadere a vuoto. Egli “non è venuto nel mondo per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato” (cf. Gv 6,38) e perciò ogni giorno si fa povero in spirito, si fa mendicante di luce, perché possa compiere la sua missione alla perfezione. Dall’obbedienza al Padre celeste infatti dipende la salvezza dell’umanità di ogni tempo e non si può essere superficiali, approssimativi, distratti.
L’attenzione è d’obbligo, perché solo così si può essere utili a Dio e strumenti del suo Santo Spirito. Ogni passo, ogni parola, ogni piccola scelta vanno fatti in perfetta sintonia con ciò che lui decide, poiché basta un nulla, una discrasia infinitesimale e tutto va in fumo.
Pensiamo a Gesù durante la sua Passione e comprenderemo bene cosa ciò significhi, noi che con troppa facilità sfidiamo il male e invece di edificare il Regno di Dio rischiamo di distruggerlo. Gesù era costantemente provocato dalla cattiveria dei suoi avversari, tentato dai capi religiosi del tempo, attaccato da quanti come Giuda gli tendevano insidie per farlo cadere. Perdere la pazienza, reagire d’istinto, parlare o tacere al momento sbagliato era assai facile. Gesù ha veramente “camminato in mezzo a serpenti e scorpioni velenosi” e se non avesse avuto un orecchio attento per percepire ogni singolo sussurro dello Spirito Santo, per eseguire tutto senza nulla aggiungere e nulla togliere, avrebbe vanificato la sua missione in un battibaleno.
L’orecchio attento però da solo non basta. Ci vuole anche una grande, anzi grandissima, mitezza. È questa la virtù di chi non risponde al male con il male, «presenta il dorso ai flagellatori, le guance a coloro che gli strappano la barba, la faccia a chi lo insulta e lo sputa senza alcuna pietà, rende la sua faccia dura come pietra» (cf. Is 50,6-7). È la virtù di chi si amare i suoi persecutori, di chi si offre in sacrificio per la loro conversione, di chi non conosce la violenza, la vendetta, l’odio e il rancore. È la virtù di chi crede nella grazia di Dio e sa aspettare i tempi giusti affinché essa operi le sue meraviglie.
Gesù ha vissuto la mitezza in maniera eroica e per questo è andato fino in fondo. Non è sceso dalla croce, non ha inveito contro i suoi carnefici, ha accolto ogni oltraggio senza alcuna ribellione. Che uomo forte! Che uomo coraggioso! Che uomo determinato!
Pur essendo innocente si è lasciato condannare a morte, si è lasciato percuotere, coronare di spine, sputare, insultare e crocifiggere. Il suo amore ha trionfato. La sua fede non ha vacillato neanche per un istante. La sua speranza è rimasta salda anche nella grande tempesta.
Ma la cosa più paradossale, quella che a me personalmente lascia a bocca aperta, è che Gesù ha sempre avuto una “parola sapiente da rivolgere allo sfiduciato” (cf. Is 50,4). Lui che era nell’atroce sofferenza, piagato nel corpo e nello spirito, ha saputo donare conforto e speranza a tutti coloro che ha incontrato lungo la via dolorosa ed aveva il cuore pronto a recepire i suoi insegnamenti.
Noi avremmo preteso di essere messi al centro dell’attenzione per essere consolati, malati come siamo di egocentrismo. Avremmo preteso di essere compatiti, sollevati dai nostri dolori. Lui invece ha saputo spandere ovunque pace, speranza, vita.
Gesù ha rincuorato le pie donne che piangevano su di lui, lasciato come dono stupendo alla Veronica il suo volto impresso sul candido lino, ha toccato il cuore di Simone di Cirene che ha portato la sua croce per un pezzo di strada, ha perdonato il buon ladrone che sinceramente pentito gli ha chiesto perdono. E più di tutto il resto ha dato a Giovanni il Dono più bello, Maria sua Madre, e a Lei il discepolo amato, generando così, dall’alto della croce, la Chiesa di ogni tempo.
Gesù ha fatto tutto questo, e l’ha fatto con tanto amore, con grande sapienza, con quel coraggio che nessun uomo sulla Terra ha avuto mai.
Orecchio attento, eroica mitezza, parola che illumina e consola sono tre caratteristiche del Re dei re, dell’Agnello senza macchia, del Redentore dell’uomo che tutti noi possiamo chiedere ogni giorno a Dio Padre per essere, anche noi, mani e cuore dello Spirito Santo affinché quanti sono di buona volontà possano credere in Gesù Signore ed avere in lui la vita.
Ci aiuti in questo la Vergine Maria, nostra Madre e Regina, renda la nostra preghiera efficace e il nostro impegno autentico nel cammino verso il Golgota, per riuscire anche noi a morire in Cristo e risorgere con Lui a vita nuova.
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