Un corpo invece mi hai preparato – IV Avvento (C)

Un corpo invece mi hai preparato – IV Avvento (C)

Perché Gesù, il Figlio del Dio Altissimo, Lui che è “luce da luce e Dio vero da Dio vero”, assume un corpo mortale, esposto alla sofferenza e alla tentazione? Perché decide di farsi Bambino fragile e poi di morire in croce deriso e insultato dall’uomo iniquo?

La risposta a questa domanda ci viene anzitutto dalla terza strofa dell’Inno che si canta nella novena tradizionale di Natale, che così recita: “L’Almo Autor del secolo assunse corpo carneo per far la carne libera e gli uomini non perdere”.

Gesù si fa Bambino fragile perché ci ama di eterno amore e non vuole perderci. Egli sa che la nostra vita è esposta agli attacchi feroci di lupi e briganti e come buon Pastore che ha a cuore la vita di ogni singola sua pecorella ci viene a cercare, a costo della vita. Si fa nostro compagno di viaggio, è disposto a condividere in tutto – eccetto il peccato – la nostra condizione umana e così nasce in un’umile grotta a Betlemme.

E tutto questo fa sapendo che il Natale è solo l’inizio di un cammino arduo verso Gerusalemme, verso il Calvario, il monte in cui si sarebbe offerto come sacrificio puro e santo al Padre celeste per liberare gli uomini dal potere delle tenebre.

Gesù ci ama e non vuole perderci, non vuole che sprofondiamo nel buio eterno, dove vi è solo angoscia, rimorso, sofferenza indicibile che mai passerà. Vuole portarci con sé in Paradiso e donarci la gioia che non ha fine, quella gioia perfetta che è pienezza di vita e lode perenne della sua misericordia.

Il Natale, e cioè l’assunzione della natura umana della seconda Persona della Santissima Trinità, è via necessaria perché noi, peccatori dalla dura cervice, possiamo essere salvati.

Ma tutto ciò ha un prezzo altissimo. Bisogna pagare il riscatto. Bisogna che ci sia qualcuno che si offre sull’altare della croce di ogni giorno come vittima immacolata, come Agnello innocente che solo può togliere il peccato del mondo. Il prezzo è altissimo e passa per il sacrificio perfetto che è dell’anima e del corpo, dell’Uomo nella sua natura umana.

Il mistero è grandioso, insondabile, impensabile per qualsiasi mente umana. Ma è mistero reale che si è consumato in una storia concreta e che deve perpetuarsi di generazione in generazione finché non ci saranno “Cieli e Terra nuovi” (cf. Ap 21,1). È il mistero del dono totale del Figlio di Dio che si offre per raggiungere ogni uomo e ogni donna e conquistarli con il suo amore, soave e onnipotente.

In questa luce comprendiamo le parole della Lettera agli Ebrei di questa quarta Domenica di Avvento, che da un lato dicono il mistero del Natale, dall’altro invitano ciascuno di noi a perpetuare il sacrificio di Cristo fino alla fine dei tempi, dando ad esso forza e dinamicità nel corso dei secoli:

«Fratelli,  entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,5-7).

Il corpo non è dato all’uomo e alla donna per consegnarlo ai vizi e ai piaceri, al peccato e all’impurità. Non è dato per diventare un idolo da adorare né uno strumento per procurare sofferenza e morte a quanti si hanno accanto. Non è dato per chiuderlo nel carcere della concupiscenza più sfrenata e della schiavitù del male. È dato per farne un’offerta pura e santa al Padre celeste, consumandosi nell’amore vero che sa “fuggire il male con orrore” per mostrare a tutti, in parole e opere, lo splendore del Vangelo.

Il corpo è dato per il bene, il sommo bene, per ricolmarlo di grazia e virtù al fine di renderlo la via visibile, udibile e tangibile di quanto è bello servire Gesù ed essere Tempio dello Spirito Santo, abitazione misteriosa della Santissima Trinità.

Se pensassimo così la nostra vita! Quale giovamento ne avremmo tutti! Conosceremmo la vera libertà e la gioia di vivere amando Dio e ogni uomo e donna che vive sotto il Cielo come Gesù ci ha insegnato.

Non è facile, perché la fragilità è nostra compagna di viaggio, come lo sono le tentazioni e mille altri ostacoli. Ma è questa la nostra vocazione, il fine unico che può elevare la nostra esistenza e proiettarla verso l’eternità beata.

Dobbiamo convincercene, tutto qui, e lavorare su noi stessi, prima che sugli altri, sostenuti dalla grazia di Dio e dall’aiuto reciproco che bisogna che ci doniamo gli uni gli altri.

Che il nostro corpo sia Tempio vivo dello Spirito Santo e, quando e come il Signore vorrà, offerta pura e santa perché contribuiamo alla Redenzione che Gesù ha avviato ma che non è ancora compiuta.

Ci aiuti la Vergine Maria, nostra Madre e Regina.

Clicca sul link seguente per la Liturgia della IV Domenica di Avvento (C)